Ue: appello a Meloni, no a Regolamento imballaggi perché aumenta inquinamento
Lettera alla premier dalle associazioni agricole, della trasformazione e distribuzione, tra cui Cia-Agricoltori Italiani
La proposta di Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, se approvata nella sua attuale formulazione, provocherebbe effetti pesantemente negativi sulle filiere produttive nazionali e sui consumatori, oltre che opposti agli obiettivi di sostenibilità che dichiara di voler perseguire. Mette in discussione il riciclo dove l’Italia è leader e non tiene conto di soluzioni più sostenibili come le bioplastiche totalmente biodegradabili. È quanto scrivono Cia-Agricoltori Italiani, Coldiretti, Filiera Italia, Confapi, Ancc-Coop, Ancd-Conad, Legacoop, Legacoop Agroalimentare, Legacoop Produzione&Servizi, Ue.Coop, Fai-Cisl e Uila-Uil alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ai ministri coinvolti direttamente, ai presidenti dei gruppi politici di Camera e Senato e ai capi delegazione in Parlamento.
In particolare, l’attuale presidenza spagnola sta accelerando ulteriormente il negoziato, cercando di far approvare un orientamento generale già al Consiglio Ambiente del 18 dicembre e si rende, quindi, necessaria un’azione per fermare tale proposta che -scrivono le associazioni firmatarie- stravolge completamente la strategia finora utilizzata per la riduzione dei rifiuti di imballaggio passando dal principio del riciclo -che ha caratterizzato tale strategia negli ultimi anni- a quella del riuso.
Il nostro Paese è diventato negli ultimi anni punto di riferimento globale nel materiale innovativo riciclabile e ha già raggiunto obiettivi superiori alla stragrande maggioranza degli altri Paesi: il tasso di riciclo complessivo degli imballaggi in Italia ha raggiunto quota 73,3% nel 2021, superando l’obiettivo del 70% fissato per il 2030, collocandoci al secondo posto in Europa per riciclo degli imballaggi pro capite.
Rimettere in discussione questo modello ormai consolidato rischia di vanificare gli sforzi e gli obiettivi raggiunti finora, generando un impatto estremamente pervasivo che rischia di colpire oltre il 30% del nostro Pil. Il danno non sarebbe, infatti, limitato alle sole aziende degli imballaggi, ma riguarderebbe a ritroso filiere fondamentali per il nostro Paese quali l’intero settore agroalimentare, dalla produzione alla trasformazione e alla distribuzione, mettendo a rischio decine di migliaia di imprese e centinaia di migliaia di posti di lavoro.
Non è pensabile, tra l’altro, che le abitudini consolidate di milioni di consumatori possano essere stravolte con un semplice tratto di penna.
La proposta impatterebbe, inoltre, su un settore come quello delle bioplastiche compostabili e totalmente biodegradabili introducendo una serie di limitazioni d’uso, limitando di fatto l’innovazione negli imballaggi e non permettendo il ritorno degli ingenti investimenti fatti in innovazione e in bioraffinerie prime al mondo oggi in funzione, di cui l’Italia è leader.
Questi impianti sono un asset del nostro Paese e potrebbero, invece, permettere a intere filiere di imballaggi di continuare a lavorare e ad innovare, potendo tra l’altro contare sulle migliori infrastrutture per il trattamento del rifiuto organico in Europa. Parliamo di bioplastiche e di bioprodotti da fonti rinnovabili concepiti per la tutela del suolo e delle acque, attraverso la riconversione di siti industriali non più competitivi, nel rispetto delle specificità locali e in partnership con tutti gli attori della filiera. La leadership che l’Italia detiene in tali prodotti innovativi è ulteriormente confermata dal fatto che Cina e Stati Uniti stanno cercando di imitare tali prodotti e processi innovativi nella loro corsa agli sviluppi industriali del biomanufacturing.
Per il settore agroalimentare in particolare, la proposta impatta negativamente il confezionamento stesso dei prodotti, mettendo a rischio gli attuali standard di sicurezza e qualità alimentare, ma anche la shelf-life dei prodotti stessi, con il conseguente rischio di aumento degli sprechi dovuto alla maggiore deperibilità degli alimenti venduti senza confezione. Un esempio indicativo è rappresentato dal divieto, che tale proposta introduce, di confezionamento di frutta e verdura in quantità inferiori a 1,5 kg, prescrizione che determinerebbe la definitiva scomparsa del settore della quarta gamma di cui l’Italia è leader mondiale. Altro esempio rappresentativo sarebbe l’obbligo di passare dal riciclo al riuso nel settore dell’Ho.re.ca. Immaginiamo la difficoltà di sostituire ad esempio, nel servizio d’asporto, le stoviglie monouso riciclabili con materiale in plastica da riutilizzare che andrebbero restituite dal consumatore ogni volta al ristorante di provenienza.
Ciò aiuta a comprendere come, secondo tutte le più recenti evidenze scientifiche, gli imballaggi riutilizzabili che la Commissione Ue vorrebbe imporre sono più impattanti del packaging monouso comportando un aumento del 180% di emissioni di CO2 e di circa il 240% in più di consumo d’acqua. Tutto ciò genererebbe anche -concludono le associazioni firmatarie- un ulteriore aumento dei costi di produzione per l’intera filiera agroalimentare, con pesanti ripercussioni sui prezzi pagati dai consumatori in un momento di grande difficoltà economica in cui abbiamo appena sottoscritto con il Governo il patto anti inflazione con obiettivi opposti.